martedì 24 giugno 2014

MUGELLO: Bosco ai Frati (la pace addosso)

Itinerario di oggi: Bosco ai Frati.

A dire il vero era qualche settimana fa, ma ho avuto da fare…
E' stata una visita improvvisata (come molte altre delle mie) per cui non ho avuto il tempo di informarmi abbastanza sugli orari di apertura.

Sul primo sito che ho trovato, ho letto che il convento era aperto tutto il giorno e quindi non mi sono fatta grandi problemi.
Domenica mattina: partenza!

Non sapevamo cosa aspettarci, così senza informazioni… Siamo arrivati là alle 10.30 circa, il navigatore diceva che eravamo arrivati ma sulla nostra destra vedevamo un piazzale e, dietro gli alberi, il portico di una modesta chiesa.

Abbiamo pensato: No, non può essere questa… Ci aspettavamo forse un complesso monumentale, una grandiosa abbazia, un monastero imponente… ma non avevamo fatto i conti con la SEMPLICITA' FRANCESCANA.

UN PO' DI STORIA
Il Convento di Bosco ai Frati ha origini molto antiche, sorse dove nell’XI secolo monaci basiliani avevano fondato il loro monastero. Successivamente divenne proprietà degli Ubaldini che furono, insieme ai Guidi, i padroni del Mugello.
Nel 1206 passò ai frati francescani e nel 1212 gli Ubaldini della Pila donarono a San Francesco il romitorio e un vasto appezzamento di terreno e bosco intorno al convento.
Nel 1346 il complesso risultava semiabbandonato e in rovina a causa dell’incuria  e nel 1349 a causa della peste.
Ai primi del Quattrocento gli Ubaldini, ormai decaduti, lo cedettero ai Medici, che nel frattempo avevano acquisito ingenti proprietà immobiliari e fondiarie nella zona.
Nel 1420 Giovanni di Bicci e Cosimo il Vecchio, lo acquistarono e, nel 1427, con bolla di Martino V, vi rientrarono i frati, dopo aver ottenuto l’autonomia dall’Osservanza della Regola.
A seguito di tale occasione probabilmente fu avviato l’intervento di ristrutturazione e di ampliamento, attribuito dal Vasari a Michelozzo (come  il Trebbio e Cafaggiolo).

Cosimo fece ampliare il refettorio, erigere il campanile, il chiostro, la sagrestia, la cisterna e il loggiato, allestì una biblioteca con molti volumi pregiati.
Inoltre modificò la chiesa di San Bonaventura, compresa nel convento, dotandola di un portico a colonne all’esterno. Invece all'interno, abbellì l'unica navata con delle volte a crociera ed ampliò il coro poligonale. Nell'edificazione del coro utilizzò costoloni, volte e cornici di chiaro riferimento tardo gotico, mentre nel chiostro, nel cenacolo e nelle celle dei monaci operò in linea con i modelli della nuova architettura cittadina. L'architetto unì le caratteristiche del nuovo gusto rinascimentale all'esperienza della tradizione architettonica medievale, utilizzando materiali semplici, e linee essenziali, nel pieno rispetto dello spirito francescano.

Inoltre Cosimo ebbe cura di fornire il complesso francescano di arredi e opere da lui commissionate e caratterizzate dallo stemma mediceo visibile quasi ovunque. Fece ricostruire gli scranni lignei del coro; procurò nuovi oggetti liturgici, antifonari e messali per la sagrestia; commissionò al Beato Angelico la pala per l'Altare Maggiore raffigurante la Madonna col Bambino e i santi Antonio da Padova, Ludovico di Tolosa, Francesco, Cosma, Damiano, Pietro Martire databile dopo il 1450 (rimasta in loco fino al 1777; oggi a Firenze, Museo di San Marco).

I Medici continuarono a interessarsi al convento francescano, sia per una profonda DEVOZIONE sia per intenti mecenatismo e AUTOCELEBRAZIONE.
Intorno al 1464 Piero il Gottoso donò alla chiesa di Bosco ai Frati il prezioso trittico a tabernacolo di Nicolas Froment raffigurante la Resurrezione di Lazzaro (che ora si trova a Firenze, nella Galleria degli Uffizi), a sua volta ricevuto in dono da Francesco Coppini, legato papale nelle Fiandre e il quadro del San Bernardo di Sano di Pietro.
Lorenzo il Magnifico si fece costruire un piccolo APPARTAMENTO nel convento, costituito da camera, cameretta, loggia e dotato di oratorio.
Clemente VII si occupò della sistemazione del refettorio all'interno del quale è presente una ceramica di Cafaggiolo sopra la porta e, sulla parete di fondo, il capolavoro di Padre Edoardo Rossi: l'Ultima Cena del Signore.

Nel 1542 , in epoca ducale, il convento rimase duramente colpito da un terremoto che travolse la zona e provocò gravi danni al convento, soprattutto al campanile. I frati dovettero provvedere alla ricostruzione e al restauro da soli.

Nel 1626 il granduca Ferdinando II fece costruire l'altare ligneo che separa il presbiterio dal coro.

Dopo tale evento e le trasformazioni verificatisi tra il XVII e il XVIII secolo, la struttura architettonica commissionata dai Medici è pervenuta solo in parte ed è rappresentate dal portico, dalla chiesa e dalla loggia sul giardino sulla quale si apre la piccola cappella di San Bonaventura.

Al tempo di Napoleone Bonaparte il convento fu nuovamente impoverito in seguito alla la soppressione. Solo dopo la caduta dell’Impero Napoleonico i frati vi poterono far ritorno, ma solo fino al 1866, quando il governo italiano lo soppresse nuovamente. Però, il nuovo proprietario, il Marchese Gerini, lo restituì ai Francescani, dopo aver ristrutturato la chiesa.

FINE DELLA STORIA

Ci siamo fermati, il piazzale di fronte alla chiesa era pieno di automobili, ma abbiamo trovato posto.
Appena scesi dalla machina abbiamo capito perché tutta quella gente: c'era la Messa e da un altoparlante ci arrivava la voce del sacerdote e i canti.

La facciata è semplice, in pietra a FILARETTO (di taglio più regolare e più chiaro nella parte alta), ha un portale di accesso centrale e una finestra ad OCULO sormontata dallo stemma mediceo.

Il tetto è a CAPANNA e una fila di archetti pensili in cotto su peducci in pietra serena segue l'andamento delle falde con aggetto decorato da cornicione con mattoni disposti a dente (come anche lungo i fianchi laterali).

L'alzato della chiesa è interrotto orizzontalmente dal porticato antistante che copre l'ingresso e che si prolunga lateralmente a proteggere l'ingresso del convento (sulla destra) e il passaggio al giardino laterale (a sinistra).
Quando fu realizzato il portico era formato da 12 campate che poi sono diventate sette in seguito a altri interventi successivi. I sostegni, massicci pilastri a sezione circolare, ripropongono nei capitelli lo stemma mediceo come spessissimo troviamo in questo complesso.



Se guardate la foto della facciata si vede chiaramente che anche il portico non fa parte dell'impianto originario, è l'aggiunta di Michelozzo, che ha dovuto adattarne il profilo alla facciata esistente. Questa aveva il portale con architrave in pietra e sovrastante arco a sesto acuto su mensole e lunetta arretrata intonacata (almeno adesso) che superava l'altezza del porticato.

La soluzione?
Quella specie di GOBBETTA sul tetto del portico che si vede dall'esterno e che si traduce all'intradosso della copertura in due faldine perpendicolari alla falda principale.

A lato del portale d'ingresso, sulla sinistra di chi entra, si vede l'epigrafe che ricorda gli antichi patroni del convento, gli Ubaldini. Scolpito sul marmo si legge: S(epulcrum) Franchinus Rogerii de Cignano et frat(er) eius et filio(rum).

Visto che la Messa era appena iniziata e, visto che il chiostro avrebbe aperto giusto alle 11.30, siamo entrati.

L'interno è semplice, ad aula unica e volte a crociera con nervature e sottarchi in pietra serena. Le pareti laterali intonacate e non dipinte sono ritmate da semipilastri costolonati addossati con capitello costituito da un semplice parallelepipedo (che sembra richiamare l'idea di una trabeazione) decorato con piccole palle dell'arme medicea.  Avrei proprio voluto fotografarlo!
I semipilastri scandiscono la navata in TRE CAMPATE e un ARCONE TRASVERSALE separa la navata dal presbiterio. Ogni arcata laterale ha al centro una finestra centinata e molto strombata ritagliata nella parete liscia, nella totale assenza di decorazioni.
L'arcone, che reca anch'esso lo stemma mediceo, poggia su semipilastri  molto sporgenti con capitello aggettante e sorretto da peducci.
Alcune tavole dipinte sono l'unica decorazione rimasta alle pareti laterali. Il corredo artistico voluto da Cosimo era molto più ricco in realtà, basti pensare al Beato Angelico che dominava sull'Altare Maggiore! Per non parlare delle altre opere già rammentate oltre a uno scomparso presepe in terracotta rimosso con la soppressione del convento.

Ma tra le opere presenti, tutte dovute all'arredo cinquecentesco, troviamo, sulla destra una tela centinata di scuola cigolesca, rappresentante la Deposizione e databile al primo ventennio del XVII secolo, poi troviamo una tela di scuola italiana del XVI secolo che rappresenta La Madonna che porge il Bambino a San Francesco, semplice e chiara come imponevano i dettami della Controriforma.

Sulla sinistra,  troviamo invece la tela di Jacopo Ligozzi raffigurante l’Istituzione del terz’ordine francescano, chiamata anche Allegoria del cordone di San Francesco. Il tema era caro ai francescani che tenevano a divulgare immagini della vita del santo, specialmente nel periodo dell'istituzione, nel 1586, della Confraternita del Cordone di San Francesco (voluta da Sisto V e privilegiata dall'Indulgenza Plenaria per tutti i componenti). Il dipinto è siglato infatti con la data 1589 e ripropone, con variante, la rappresentazione iconografica di un incisione di Agostino Carracci. Sulla stessa parete segue un'Annunciazione attribuita a Antonio del Ceraiolo e nella campata successiva l'organo.

A metà della navata trovano inoltre collocazione, a sinistra, una statua della Madonna e, a destra, San Francesco.

L'altare è grandioso, ligneo, dorato e monumentale, si prolunga lateralmente formando due porte attraverso le quali si accede al coro. E' organizzato geometricamente da un'architettura che, con colonnine, cornici, edicole, lo spartisce in tre nicchie; nella centrale ospita una statua moderna della Madonna. Originariamente ospitava nella nicchia centrale un' Immacolata e lateralmente un San Francesco e un San Bonaventura.
Sul timpano in alto campeggia lo stemma mediceo. Infatti fu commissionato da Ferdinando II nel 1626 in onore della Vergine (c'è la data in un riquadro che purtroppo non ho visto) e sostituì quello precedente con la pala del Beato Angelico.

Molte delle panche più vicine all'altare erano occupate dai frati, alcuni con indosso un saio grigio-celeste, altri in borghese. Tutti molto semplici, SCALZI e GIOVANI.

Nonostante la bella giornata la chiesa era fredda e LA PRIMA COSA CHE MI HA COLPITA sono stati quei PIEDI NUDI dentro ai sandali. Si, lo so, detto oggi che fanno 35 gradi, non fa effetto, ma quel giorno di primavera l'estate sembrava ancora lontana… se aveste sentito come erano GHIACCE le panche!!!

LA SECONDA COSA CHE MI HA COLPITA è stata l'ETA'. La comunità mi è sembrata MOLTO ma MOLTO GIOVANE, lo erano infatti tutti i religiosi presenti in chiesa ed erano, suppongo, di diverse nazionalità.

La Messa è stata molto solenne, con i canti in latino, ma tutta l'assemblea era agevolata dal libriccino dei canti su ogni panca e dall'officiante che SEMPLICEMENTE specificava la pagina in modo che tutti potessimo seguire.
Messa solenne, sì, ma ADATTA A TUTTI, semplice e chiara, come la voce che officiava.
Come San Francesco.


Avrei voluto proprio fotografare ma mi sembrava irrispettoso e soprattutto ero troppo presa dall'atmosfera di serenità che c'era.

Ho aspettato la fine della MESSA e, uscita fuori, mi sono accorta che il chiostro era aperto. Siccome c'era un frate lì al portone SOTTO AL PORTICO mi sono fiondata a chiedere di visitare il convento pensando di tornare dopo in chiesa.

Purtroppo mi sbagliavo, non sono potuta tornare in chiesa e le foto interne non le ho potute fare, ma ho visto alcune parti del convento e ora ve le racconto.

Quando ci siamo avvicinati al frate ci ha accolti con un sorriso e il suo saluto è stato Ave Maria.

E' così che usano salutare i Frati Francescani dell'Immacolata. Aveva in mano un boccettino di olio e con questo avvicinandosi a noi ci ha benedetti segnandoci la fronte.

Non so con quali parole descrivere questa cosa… è stato un gesto così spontaneo e denso di gioia di donare che mi la lasciata attonita per una frazione di secondo, come se per un attimo, ma solo un brevissimo attimo, il mondo si fosse fatto silenzio e poi tutto è tornato come prima, mentre la sua voce gentile ci diceva che sì, si poteva visitare il convento.

Ci ha detto: Aspettate un attimo che vedo se c'è un fraticello che vi può accompagnare…
Un attimo dopo è arrivato un fraticello giovanissimo e dall'accento francofono o simile. Ci ha accompagnati dentro al portone e ci ha detto che però non tutte le parti del convento sono visitabili, solo quelle non strettamente private dei frati, anche perché c'erano in corso delle sistemazioni e alcune zone erano ingombrate da librerie e mobili.

Inizia la nostra visita nel convento.
Varcato il portone ci troviamo in un chiostro chiuso. Di fronte all'ingresso la statua di San Bonaventura ci accoglie.
Il FRATICELLO ci racconta qualche aneddoto sul santo a cui è intitolata la chiesa.

Si racconta che, poco più che neonato e malato di una grave malattia che lo stava portando alla morte, un giorno, mentre era sulla porta di casa in braccio alla madre passò San Francesco. Il santo facendo su di lui un segno di Croce, disse Oh buona ventura per il mio ordine!
Il bambino fu miracolosamente guarito e da allora fu chiamato Bonaventura.
Fu un grande, studiò alla Sorbona con San Tommaso d'Aquino e divenne professore e poi generale dell'Ordine Francescano.

Fu un perfetto figlio di San Francesco, continuatore della sua spiritualità, amava la povertà e la solitudine, cercava Dio nella Natura e nelle Sue Creature. Amava i luoghi come come Bosco ai Frati, dove si trovava nel luglio1273.

Al convento faceva i lavori più umili per rendersi utile.
Fu uno di quei giorni, mentre stava lavando i piatti in una tinozza di pietra che arrivarono i legati di Papa Gregorio X per consegnargli le insegne cardinalizie.
Il santo, curvo sulla pila, alza la testa dai piatti, indica con la mano un alberello di corniolo e chiede di appenderle lì continuando ad attendere alle sue umili faccende. Fu grande festa e nell'emozione il campanaro dimentica di suonare la campana di compieta. La suonerà San Bonaventura più tardi, fuori orario, mezz'ora dopo l'angelus della sera.
Da quella volta è rimasta l'inconsueta tradizione di suonare la campana a quell'ora della sera e la gente del posto la chiama ancora la campana di San Bonaventura.

L'alberello di corniolo, oramai cresciuto, si trova sul lato sud del convento, dove Michelozzo ha eretto il portico dedicato a San Bonaventura.
Purtroppo quella parte, non è stato possibile vederla. E nemmeno il Refettorio.

Magari un'altra volta, chiedendo prima... chissà.

Percorriamo il loggiato fino al lato sud.

Lungo le pareti sono appese alcune opere in gesso, sono delle LUNETTE eseguite dal padre francescano Eduardo Rossi e rappresentano San PietroLa Madonna e l'Ultima Cena.
Mi accorgo inoltre della presenza, ritmata e costante, di piccoli quadretti appesi alle pareti ai lati, ogni quadretto una preghiera di San Francesco.

Perché chiunque percorra questi luoghi, sia passeggiando in meditazione, sia semplicemente per spostarsi da un luogo all'altro del convento, abbia la possibilità di pensare ed essere ispirato da San Francesco, dalle sue parole, dai suoi pensieri, dalle sue preghiere.


Arrivati SUL LATO OPPOSTO il fraticello ci mostra l'ingresso della ex Sala Capitolare. 
E' l'ambiente più importante del convento, è quella che veniva chiamata Sala dei Medici e raccoglie al suo interno una collezione di opere che fa capire l'entità delle donazioni dei secoli passati. Nelle teche sui due lati troviamo arredi e paramenti sacri settecenteschi e ottocenteschi, preziosi calicipissidituriboliun crocifisso in porcellana, un vassoio e un bellissimo graduale.


 Subito accanto troviamo due quadri, uno con Santa Caterina d'Alessandria e l'altro con Sant'Elena Imperatrice, tutti e due databili agli anni Venti del XVII secolo. Sono attribuiti a Pietro Confortini (fratello del più famoso Jacopo Confortini) che riprende la maniera di Matteo Rosselli e Francesco Curradi.




E poi… e poi ECCOLO!
  
E' il crocifisso ligneo di Donatello.

L'attribuzione è controversa anche se la più accreditata è quella donatelliana. L'opera  risale al 1460 circa ma le informazioni sulla sua storia sono intermittenti.
Dalle memorie lasciate da Fra Giuliano Ughi della Cavallina sappiamo che nel 1542 il convento fu colpito da un violento terremoto (lo stesso che abbatté il campanile) e il Crocifisso, che si trovava probabilmente sull'Altare Maggiore, dietro la Pala del Beato Angelico, cadde e si frantumò in più pezzi.
Fu rattoppato da un dipintore di Scarperia per tre ducati d'oro.
Fra Giuliano lo racconta così: Il Crocifisso grande, per il grande squotere de’ terremoti, cadde in su l’armadio de’ libri, discosto dal coro più di otto braccia, e si roppe le gambe, il capo et un braccio. Si fece racconciare a Scarperia ad un dipintore, che hebbene tre ducati d’oro.

L'artigiano riattaccò i pezzi, integrò le parti mancanti con stoppa, stucco e... lo RIDIPINSE!
E non si sa se fu in quell'occasione che gli furono AGGIUNTE la corona di spine sulla testa e il perizoma attorno ai fianchi!

Con la realizzazione del nuovo Altare Maggiore, il Crocifisso fu spostato al piccolo altare di sinistra lungo la navata e, successivamente, fu risparmiato dalla espoliazione del Sette e Ottocento.

Nel 1952 Padre Teofilo Gori stava risitemando la chiesa per riportare l'intonaco all'originale e, visto che l'opera era di ostacolo, fece mmettere il crocifisso nella cripta.
Rimase lì per un po' finché non fu riconosciuta come opera di pregevole fattura da Alessandro Parronchi che lo notificò alle Belle Arti di allora attribuendolo subito ad un Donatello giovane.
Poi le attribuzioni sono state diverse e controverse fino a giungere all'attribuzione al Donatello dolente dell'ultimo periodo.
E' carino però l'aneddoto raccontato dal Vasari a proposito di Donatello e Brunelleschi, anche se il crocifisso della vicenda non era questo. Ve lo racconto lo stesso, perché per un po' di tempo si è creduto che fosse il Crocifisso di Bosco ai Frati il protagonista.

Si racconta che Donatello, finito il proprio crocifisso, fosse andato da Brunelleschisuo amicissimo per averne il parere suo”. Questi rispose che “gli pareva che egli avesse messo in croce un contadino, e non un corpo simile a Gesù Cristo, il quale fu delicatissimo ed in tutte le parti il più perfetto uomo che nascesse giammai”.
Donatello ci rimase piuttosto male e sfidò Brunelleschi a fare di meglio. Brunelleschi accettò la sfida.

Dopo qualche mese Brunelleschi, invitò a pranzo Donatello e, prima di entrare in casa, gli mise nel grembiule un po' di uova dicendo: “Va avanti tu, ti raggiungo tra poco con il vino”.

Entrato nella casa di Brunelleschi, Donatello vide davanti a sé il Crocifisso, era illuminato da un raggio di sole ed era tanto perfetto che ne rimase sconvolto e allargò le braccia lasciando cadere tutte le uova.
Arrivato Brunelleschi, vedendo la reazione dell’amico, chiese ironicamente: “E adesso cosa mangiamo?
E Donatello rispose: “Io, per me, oggi ho già avuto la mia razione. Quanto a te, fa pure quello che vuoi. Ho capito che a te è concesso fare Cristi e a me contadini”.
In realtà questi due crocifissi sono quello del Brunelleschi oggi in Santa Maria Novella e quello di Donatello nella Cappella dei Bardi in Santa Croce sempre a Firenze.

Dopo la riscoperta il Crocifisso fu sottoposto ad una sapiente opera di restauro da parte dell'Opificio delle Pietre Dure che terminò nel 1960. L'opera, in legno di pero, conserva però ancora tutte le tracce delle vicissitudini passate, la cromia originale è solo in parte stata salvata, la capigliatura che doveva essere spessa e folta, è compromessa, evidenti segni di chiodi per fissare il perizoma rimangono all'altezza del bacino.
Ma tutto questo dona drammaticità a quei lineamenti emaciati e sofferenti, così inconsueti e di una struggente bellezza.
Siamo rimasti un po' a fissarlo. Sembrava vero. E tutti gli affanni passati, tutti gli accadimenti che l'hanno reso malconcio e deturpato, sembra quasi che l'abbiano avvicinato ancora di più al Cristo, alle sue sofferenze e all'umana imperfezione.
Incantati.


Risvegliati da questa trance ci siamo accorti che il fraticello ci aspettava oltre la porta, nel portico. Siamo usciti dalla sala, che lui ha chiuso diligentemente, e ci siamo affacciati ad una delle porte che danno sul chiostro.

Il piccolo chiostro, semplice e spoglio, è dominato dalla cisterna in pietra del Seicento, poggiante su uno scalino circolare. Su uno dei lati del pozzo un basamento sagomato sorregge una pila in pietra semiellittica.















Poi abbiamo continuato il nostro giro.
Sull'altro lato del chiostro si apre la cucina del 1200.
E' una stanzetta buia e nera dove i frati cucinavano e facevano il pane.  Molto buia e molto nera e le foto purtroppo ne hanno risentito…

Ma è rimasta proprio così, come era in origine, ed è molto affascinante.E devo dire anche molto didattica, per i bambini, che non hanno idea di come si viveva una volta, ma anche per noi adulti, che troppo spesso, presi dalle scontate comodità odierne, facciamo finta di non saperlo.

Usciti anche da lì il buon fraticello ci ha chiesto se volevamo vedere la sagrestia.
Come no!?

Ancora mezzo giro di portico e, attraverso un passaggio che sapeva di area riservata e piuttosto antica, siamo arrivati alla sagrestia.

L'ambiente è grande e a volta arredato con un bellissimo armadio/bancone antico sul fondo.

Durante il restauro degli anni Ottanta è emerso, nella lunetta centrale della parete di fondo, un frammento di affresco raffigurante San Francesco all'interno di una cornice polilobata, databile ai primi del XV secolo.
Se i frati non sono troppo indaffarati soffermatevi a vedere il lavabo in pietra serena intagliata che noi non abbiamo visto.
E' inserito in una nicchia, ha una decorazione a  baccellature ed è databile al secolo XVII.
Quando siamo andati noi, la sagrestia era occupata per qualche ufficio dal frate che vedete di spalle e, non sapendo di dover cercare il lavabo,  non abbiamo voluto disturbare oltre.
Opere che purtroppo non ci sono più: un Crocifisso e la Vera Croce.

IL PRIMO che ho detto era conservato nello specchio centrale del bancone ed era un notevole Crocifisso ligneo policromo di primo Cinquecento, attribuito a Baccio da Montelupo e alla sua scuola. Purtroppo è stato trafugato nel 1979 è oggi visibile solo in vecchie foto di catalogo.

Per IL SECONDO la storia è più lunga. Fra Giuliano della Cavallina, lo stesso che ha scritto del terremoto del 1542, ci tramanda anche la notizia di una reliquia molto particolare che si trovava qui al convento.
Racconta che il cardinale Ottaviano Ubaldini, (n. 1210 circa - m. 1272), che non aveva mai nascosto la sua simpatia per il movimento francescano, aveva donato al convento una croce di cristallo incastonata in una cornice d’argento contenente un pezzetto della Vera Croce.
Per questa reliquia fu commissionato un bancone ligneo con dipinti raffiguranti le Storie di sant’Elena e dell’Imperatore Costantino.
Precisamente, Fra Giuliano, nella cronaca del 1565, racconta: Questo Cardinale essendo assai affezionato a San Francesco et ai suoi frati, molto era favorevole a questo convento, intanto che donò al convento quella bella croce che ancora sta in sagrestia onoratamente et fece fare quel bel banco o armadio con grandissima spesa, sì per il lavoro del legname, come di pittura.

Successivamente però, nella scia dei rinnovamenti medicei, Cosimo il Vecchio rinnovò l’arredo della sagrestia facendo costruire un nuovo armadio gli stemmi degli Ubaldini in loro memoria ed onore. (Che è quello che vediamo.)
Ma la Croce rimase là. E lo sarà anche dopo, almeno fino al 1748, come testimonia la descrizione del sacerdote Giuseppe M. Brocchi.
Invece nel 1902, ahimè, la Croce non era più là e non se ne aveva più alcuna notizia.
Dalla sagrestia si accede poi alla chiesa, dalla parte del CORO, quello che non si vede dalla navata perché nascosto dall'imponente altare.
Il coro è poligonale, con volta a unghie costolonata, come le volte della navata. Anche qui, al centro, troviamo il simbolo dei medici.

Gli scranni lignei fanno parte della ristrutturazione medicea di Cosimo il Vecchio.













Il retro dell'Altare Maggiore presenta una decorazione pittorica meno raffinata, commissionata dagli Ubaldini e posteriore alla realizzazione dell'opera lignea.
Nella parte alta, al centro, troviamo un'Assunta, ai lati in alto vediamo L'apparizione della Vergine a Santa Caterina da Siena (nella foto è coperta dal crocifisso) e La Prova del fuoco di San Pietro Martire, più grandi, subito sotto vediamo San Giovanni da Capestrano (coperto) e San Bernardino da Siena con il libro e il trigramma IHS.

E POI SORPRESA. Altra domanda del fraticello: Volete vedere anche la cripta?
C'era da chiederlo? Certo che sì!
Ecco, guardate la foto del retro dell'altare... lo vedete quel pannello di legno al centro in basso con la croce su una striscia chiara? Ecco, quel pannello si apre e dà accesso alla cripta. Doveva celare proprio bene l'ingresso perché servì come nascondiglio durante la seconda guerra mondiale.
Entriamo.

Si scende per una bella scala larga. Si capisce subito che la cripta non fa parte dell'impianto originario della chiesa. E' stata realizzata infatti subito dopo la Grande Guerra dall’architetto Giuseppe Castellucci come sepolcreto dei marchesi Gerini che erano allora patroni del convento.

E' un largo corridoio con volta a botte ribassata. L'illuminazione è scarsissima e il fondo è un DEL TUTTO BUIO.

Sulle pareti laterali si vedono le lapidi commemorative dei frati sepolti nelle cappelline laterali a cui si accede dalle porticine col cancello che vedete (se ne vede solo una, ma sono diverse, su tutti e due i lati).

Sul fondo trova collocazione una fila di panche e poi un altare, su cui è stato appoggiato un rilievo in marmo o gesso (non so) del Cristo deposto. E' coperto da un velo di tulle e fa piuttosto impressione (anche perché non c'è luce).

Cerco di fare le foto al naturale, per rendere l'atmosfera... macché: troppo buio. Non mi resta che il flash.
Mi accomodo, faccio un po' di prove... ecco, questa va bene, questa no, perdo un po' di tempo... e poi mi giro...

Ma dove andate? Non mi lasciate qui eh! Che BRIVIDI!

Guadagno le scale e mi sento di nuovo al sicuro.

Purtroppo il giro è finito.
Salutiamo il fraticello che è stato gentilissimo e molto disponibile di cui, mi rendo conto ora, non sappiamo neanche il nome.

Tornando verso il chiostro ci fa vedere un'ultima cosa. Passiamo davanti alle scale che conducono al piano di sopra. E' la famosa rampa di 26 scalini, antica e originale, che saliva San Bonaventura per andare alla sua cella.  E che conduce ai loro alloggi privati, quindi non possiamo salire. Ma ci fa notare che proprio in cima alla rampa, sul pianerottolo, si vede un affresco davvero antico, dice del Duecento.

A questo punto il nostro giro è davvero finito
Il fraticello ci accompagna all'entrata, nell'angolo del chiostro dove vedete la statua di San Bonaventura. Proprio lì c'è un tavolino con molte pubblicazioni sul convento, su San Bonaventura, su San Francesco, sull'Ordine, cartoline ecc… L'acquisto è a offerta e con esso contribuirete ad aiutare i frati che vivono qui veramente con poco.
Noi abbiamo acquistato uno dei testi che vedete sotto in bibliografia e mi è stato utile anche per scrivere il post.
Poi l'abbiamo salutato e siamo usciti.

Nel frattempo molte delle persone presenti alla messa se ne erano andate, il piazzale si è svuotato dalle auto e tutto ha un sapore più agreste. Ma non siamo soli, alcune persone sono rimaste a parlare con i frati proprio lì davanti al portone, e i frati si intrattengono giovialmente con questi che, vedo, hanno portato in dono delle provviste.

Il clima è davvero sereno, quasi mi dispiace che la visita sia finita perché parlare con questi religiosi mette proprio  la pace addosso.

Ma dobbiamo ancora visitare la chiesa, ora che le persone sono andate via la potrò fotografare... Questo era quello che pensavo.
E invece no.
La chiesa è ormai chiusa e mi dispiace troppo disturbare ancora il fraticello. Mi accontento delle foto che ho e lo prendo come un invito a tornare!

Non mi rimane che osservare la chiesa da fuori.
Faccio le ultime foto dal piazzale mentre ancora i frati si intrattengono a chiacchierare con i fedeli e una gattina incinta mangia dalla ciotolina appositamente messa sotto al portico...

Sì, decisamente San Francesco è qui!

Per informazioni 0558481111 (Convento)



Biblio:
Barbara Tosti: Mugello culla del Rinascimento. Giotto, Beato Angelico, Donatello e i Medici - Polistampa, 2008
AA.VV.: Chiesa e convento di San Bonaventura a Bosco ai Frati. Guida alla visita della chiesa e del convento e alla scoperta del territorio - Polistampa, 2008
Celso Ivo Nottolini: Bosco ai Frati - Giorgi & Gambi Editori, 1989

www.mugellotoscana.it/it/i-luoghi-dei-medici/convento-di-bosco-ai-frati.html
www.palazzo-medici.it/mediateca/it/schede.php?id_scheda=88
www.sbap-fi.beniculturali.it/index.php?it/325/chiesa-di-san-bonaventura-al-bosco-ai-frati www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/MibacUnif/Eventi/visualizza_asset.html_901790876.html www.ilfilo.net/arte/boscofrati.htm http://www.piccoligrandimusei.it/SanBonaventuraDesc.phtml

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