venerdì 4 ottobre 2013

LA STORIA DI DINA: vita di una donna toscana negli anni Quaranta

Opera di Attilio Grandoni (1908-1984): Avemaria.
Da http://www.fotocronacafermana.it
In questi giorni mi sono imbattuta in una lettura interessante. La storia di Dina, nata a Santa Lucia, vicino a San Gimignano nel 1920. Erano anni duri, difficili, che noi non riusciamo nemmeno a immaginare.

Molti brani sono belli da leggere, ma ho dovuto scegliere… Ho scelto questo, non è il più EMOZIONANTE ma è efficace nel rendere l’idea della differenza tra allora e oggi. 

Come si vivevano la gravidanza e la maternità negli anni ’40?
In modo molto semplice, poco preoccupato, forse per la sicura consapevolezza che quello che succederà, è perché deve succedere. O forse per mancanza di altre possibilità.

Riporto il testo, così come è scritto, sono le parole di Dina, in dialetto, naturalmente…

“Noi, quande c’era una ne’ primi mesi di gravidanza, s’andava ne i’ campo, perché un era che ci dava noia, come tutti gli altri. Però quande si riva a èsse grossette, un so, di sette mesi, se’ mesi, presempio a zappà c’inviava a dà un po’ noia. O s’andava co’ maiali, o s’andava colle pecore, oppure, ‘n so, s’andava a fa un po’ d’erba a’ coniglioli, roba un po’ più… Però secondo di che tempi s’èramo, se c’era da raccattà le legna, se c’era da raccattà l’ulive, che un era una cosa pesante, ci s’andava come li attri.

Allora un era come ora, che c’era i preparativi pe i’ bambino che doveva nasce. No, no. C’era, presempio nei primi due o tre mesi, la mamma magari veniva alle su’ ore anche se andava ne’ campi, alle su’ ore giuste pella lattata de i’ bambino. Quella veniva a casa, le dava poccia, a seconda di che tempi s’eramo. Se s’eramo nell’inverno, veniva a dalli poccia e poi rimaneva a casa e addio. Però se s’eramo di state, le giornate sono lunghe, presempio dalla mattina che lei andava n’ i’ campo, no, aveva custodito i’ bambino; poi ‘n verso l’undici veniva a casa, ricostudisce i’ bambino e poi aspetta i’ pranzo, e dopo mangiato quande s’era messo a posto che l’omini ritornavano ne’ campi, si custodiva i’ bambino e si ritornava n’ i’ campo con quell’attri. E allora quelle due o tre ore, e’ ci si stava come quell’attri. Poi, magari, i’ bambino piange: è l’ora della pocciata. La mamma che era a casa, la socera, oppure un so’ un c’era i soceri, c’era lei stessa, dice: « Ora bisogna vada a dà la pocciata a i’ bambino. » Invece ora no, ora la cosa è diversa, perché quella che è a casa li dà tutti questi latti artificiali, la mamma pole andà via tranquilla.

Io li ho dato undici mesi a tutti e due di poccia. Io a’ mia fino a tre mesi li ho dato i’ mi’ latte solo; poi a tre mesi ho cominciato… cioè, a i’ primo li tostavo la farina nostra: la tostavo color nocciola e li facevo la farinata con quella lì: coll’acqua, questa farina tostata, poi ci mettevo un cucchiaio di zucchero; e gli davo questa farinata. Però a i’ secondo, gli ho fatto, allo svezzamento, cioè, cioè prima dello svezzamento, gli ho dato la crema di riso co un pochino di merlì (Mellin) e la farinatina tostata della nostra, o sennò una pappina co un pochino di zucchero ne’ primi mesi.

Le mi’ zie, della generazione prima, loro come latte glielo davano di più, fino all’anno l’allattavano, ma anche quattordici mesi. Perché c’era meno robe adatte pe’ bambini, cioè c’era meno possibilità anche di compralle, perché le creme di riso, merlì, a que’ tempi lì a’ nostri vecchi, pella prima un ci saranno nemmeno state, ma poi un c’era possibilità nemmeno di compralle. Presempio, io so’ nata di paio, so’ gemella, e allora noi pe un avecci sti mezzi qui, che tutti e due co i’ latte suo un bastava, e allora ha comprato una capra. Colla capra, l’aggiunta de i’ latte, una pocciata per uno de i’ suo, co una giunta un pochino di quell’attro, e’ ci ha rallevato tutti e due. Poi ha cominciato colle pappe, farinate della nostra roba che s’aveva in casa, no, che allora li cercava di comprà tutte le cose. Noi ci ha tirato avanti così. Semo stati otto figlioli, ci ha rallevato tutti in questa maniera.”

La possibilità di conoscere la storia di Dina ci è stata data da Valeria di Piazza che, per la sua tesi, dal 1978 ha raccolto questa preziosa testimonianza in più interviste, susseguitesi anche a distanza di diversi anni. Dal lavoro iniziale è scaturita poi la pubblicazione:
Valeria Di Piazza, Dina Mugnaini, Io so' nata a Santa Lucia. Il racconto autobiografico di una donna toscana tra mondo contadino e società d'oggi, Castelfiorentino, Società Storica della Valdelsa, 1988, Biblioteca della «Miscellanea Storica della Valdelsa, n. 9».

Oltre a raccogliere questa testimonianza, di valore storico, ma anche affettivo e, per qualcuno, quasi nostalgico, di un passato che non c’è più, l’intento dell’autrice era anche realizzare uno studio linguistico che si è trasformato poi in uno studio molto più complesso.
Ne è venuta fuori una rappresentazione della vita di una donna toscana nella società contadina a metà del Novecento, con tutte le sue sfaccettature sull’uso linguistico e fonetico, sulle abitudini, sugli stili di vita.

Mi hanno molto colpito i racconti sulle credenze e convinzioni popolari, le superstizioni, che permeavano la cultura contadina, e non solo. Poi ne metterò qualcuno.

Insomma interessante e commovente (vedrete i prossimi!).

Per i NON TOSCANI: capisco che il dialetto possa essere difficile da capire, ma era molto più coinvolgente trascrivere le vere parole di Dina. Se siete interessati, scrivetemi e proverò a pubblicarne una piccola traduzione in italiano (almeno per le parole principali).


Il testo è questo:
Valeria Di Piazza, Dina Mugnaini, Luciano Giannelli: Io so' nata a Santa Lucia: il racconto autobiografico di una donna toscana tra mondo contadino e società d'oggi - Società storica della Valdelsa, 1988

Potete trovare altre pubblicazioni interessanti della Società Storica della Valdelsa sul loro sito: http://www.storicavaldelsa.it/pubblicazioni







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